mercoledì 22 aprile 2015

NEW ARTIST: ANDREA FERRARI








 ANDREA FERRARI
FRAMMENTI DI ME

 





Duro, freddo, statico, il marmo è un materiale che non si concede, devi saper togliere per arrivargli all’anima, dargli un senso ed una forma, invece Andrea Ferrari mette, aggiunge, sovrappone continuamente...
Nelle sue mani il marmo si trasforma, diventa materiale ludico con cui egli sperimenta sempre giochi nuovi. Da duro si fa soffice come panna montata, da freddo diventa caldo grazie alle macchie di colore, da statico diviene dinamico e sembra sempre sul punto di sciogliersi da un momento all’altro. L’artista resta in bilico fra scultura e pittura proponendoci queste visioni informi che possono essere qualsiasi cosa vogliamo.
Andando artisticamente a ritroso ritroviamo l’influenza del materialismo di Burri ma anche l’ingenua spontaneità naive, e l’accumulazione di materiali alla Arman. L’artista, partendo da un elemento base che è il marmo, moltiplica gli elementi facendo perdere a ciascuno di essi i connotati per darceli alla rinfusa, così da ritrovare la casualità che regna in natura.
La ricerca è quella di una spazialità concreta, non più illusoriamente rappresentata, ma che non può esser ricondotta nell’ambito tradizionale della scultura perchè si avvale di materiali inediti, spesso riccamente colorati.
Il marmo infine, materiale nobile, col quale si erigevano le statue greche e romane antiche, volte a celebrare la solennnità di personaggi storicamente illustri, viene trasformato con l’intervento di colature di colore che formano zone cromatiche primarie, essenziali. Questo modo di trattare la materia e le opere dell’artista dimostrano la sua volontà d’indipendenza da correnti artistiche e di pensiero. 




In linea con le sue sculture egli ci propone anche una serie di opere pittoriche in cui è imperante l’influenza dell’ Informale.  Qui la pittura si trasforma in un’approccio ed una conoscenza del reale dinamica e fenomenica, in cui anche il caso gioca un ruolo attivo, anche se dal lavoro di Ferrari emerge un atteggiamento individualista e fondamentalmente romantico di rivolta contro una società sentita come alienante.
Come Dubuffet, attraveso la sua Art Brut, liberava l’arte dai condizionamenti delle mode e del sistema, anche Ferrari si rifà all’infantilismo di certe forme e richiama l’arte sintatticamente elementare e fortemente comunicativa dei graffiti di strada. Da queste contaminazioni escono tele in cui i colori sono protagonisti, sono loro stessi a tracciare il segno sulla tela, un segno che diventa traccia, impronta che ci riporta alla mente sia l’arte primitiva in cui le immagini erano portatrici di messaggi simbolici che le incisioni rupestri ritrovate a Lascaux, scene di quotidianità in cui l’uomo dava la caccia all’animale, oggi quella belva non c’è più, l’impronta umana e quella animale però sono facilmente riconoscibili in un gioco di allusioni e rimandi che ci lascia non pochi interrogativi ma, del resto come diceva Jean Piaget: “Ogni volta che si spiega qualcosa a qualcuno gli si impedisce di capirla da solo”.
Chiara Messori

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