ANDREA FERRARI
FRAMMENTI DI ME
Duro, freddo, statico, il marmo è un materiale che non si
concede, devi saper togliere per arrivargli all’anima, dargli un senso ed una
forma, invece Andrea Ferrari mette, aggiunge, sovrappone continuamente...
Nelle sue mani il marmo si trasforma, diventa materiale
ludico con cui egli sperimenta sempre giochi nuovi. Da duro si fa soffice come
panna montata, da freddo diventa caldo grazie alle macchie di colore, da
statico diviene dinamico e sembra sempre sul punto di sciogliersi da un momento
all’altro. L’artista resta in bilico fra scultura e pittura proponendoci queste
visioni informi che possono essere qualsiasi cosa vogliamo.
Andando artisticamente a ritroso ritroviamo l’influenza del
materialismo di Burri ma anche l’ingenua spontaneità naive, e l’accumulazione
di materiali alla Arman. L’artista, partendo da un elemento base che è il
marmo, moltiplica gli elementi facendo perdere a ciascuno di essi i connotati
per darceli alla rinfusa, così da ritrovare la casualità che regna in natura.
La ricerca è quella di una spazialità concreta, non più
illusoriamente rappresentata, ma che non può esser ricondotta nell’ambito
tradizionale della scultura perchè si avvale di materiali inediti, spesso
riccamente colorati.
Il marmo infine, materiale nobile, col quale si erigevano le
statue greche e romane antiche, volte a celebrare la solennnità di personaggi
storicamente illustri, viene trasformato con l’intervento di colature di colore
che formano zone cromatiche primarie, essenziali. Questo modo di trattare la
materia e le opere dell’artista dimostrano la sua volontà d’indipendenza da
correnti artistiche e di pensiero.
In linea con le sue sculture egli ci propone anche una serie
di opere pittoriche in cui è imperante l’influenza dell’ Informale. Qui la pittura si trasforma in un’approccio
ed una conoscenza del reale dinamica e fenomenica, in cui anche il caso gioca
un ruolo attivo, anche se dal lavoro di Ferrari emerge un atteggiamento
individualista e fondamentalmente romantico di rivolta contro una società
sentita come alienante.
Come Dubuffet, attraveso la sua Art Brut, liberava l’arte
dai condizionamenti delle mode e del sistema, anche Ferrari si rifà
all’infantilismo di certe forme e richiama l’arte sintatticamente elementare e
fortemente comunicativa dei graffiti di strada. Da queste contaminazioni escono
tele in cui i colori sono protagonisti, sono loro stessi a tracciare il segno
sulla tela, un segno che diventa traccia, impronta che ci riporta alla mente
sia l’arte primitiva in cui le immagini erano portatrici di messaggi simbolici
che le incisioni rupestri ritrovate a Lascaux, scene di quotidianità in cui
l’uomo dava la caccia all’animale, oggi quella belva non c’è più, l’impronta
umana e quella animale però sono facilmente riconoscibili in un gioco di
allusioni e rimandi che ci lascia non pochi interrogativi ma, del resto come
diceva Jean Piaget: “Ogni volta che si spiega qualcosa a qualcuno gli si
impedisce di capirla da solo”.
Chiara Messori
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