lunedì 4 maggio 2015

La vetrina del lunedì: Tina Modotti - quando la fotografia è magnetica







" Metto troppa arte nella mia vita e di conseguenza non mi rimane molto da dare all'arte"


Queste poche parole ben descrivono la figura dell'artista che voglio ricordare oggi: Tina Modotti (nata ad Udine il 17 agosto 1896 e morta a Città del Messico il 5 gennaio 1942 a soli 46 anni).

Prendo a prestito le informazioni lette nei miei studi personali, il mio interesse verso quest'artista è sempre rimasto vivo negli anni forse perchè l'ho sempre idealizzata o forse perchè ho invidiato il suo ESSERE SEMPLICEMENTE UNA DONNA che veniva trattata alla pari da altri formidabili artisti come lei.
Facendo un breve escursus ricordo la sua memorabile vicenda biografica costellata da incontri meravigliosi:  Robert Capa, Diego Rivera fino a Frida Kahlo, momenti che il suo obiettivo ha fedelmente raccontato. La vita della rivoluzionaria Tina sembra uscire direttamente dalle pagine di "Per chi suona la campana". È stata all'insegna della coerenza, della così tanto vagheggiata onestà intellettuale troppo spesso chiamata da molti senza giusta causa nei tempi che stiamo vivendo.
Profondo ed indimenticabile fu il suo connubio artistico e sentimentale con Edward Weston del quale fu musa posando per nudi che per la naturalezza della posa, la qualità tecnica e l'intensità della resa possono tranquillamente confondersi e superare foto stampate oggi.
E proprio con Weston che lei perfeziona la sua impostazione del mezzo fotografico. E allora vediamo i momenti delle sue molteplici sfaccettature, la realizzazione di "The Tiger's coat" (1920), unica pellicola conservata della sua carriera di attrice e  le sue fotografie ; gli intensi ritratti di donne e degli uomini che ha amato, la foto dopo l'uccisione del suo amante Malle. ll lavoro di questa artista  ha indagato i diversi aspetti della fotografia; da quello di stampo naturalistico, con le nature morte sempre inquadrate in una prospettiva del tutto originale, fino alla documentazione sociale.
È stata una contemporanea di Hine e da un punto di vista di scelta del soggetto da immortalare ha privilegiato (dopo essersi trasferita in Messico), proprio l'uomo nel suo contesto sociale. Per troppo tempo la sua carriera è stata esclusa dai libri specializzati di storiografia fotografica. La sua attività in Italia e nel mondo è stata riscoperta relativamente da poco.
Ma Tina aveva molte vite...non era solo fotografa, modella, musa, scrit­trice di pam­phlet, agi­ta­trice poli­tica, c’è un’ultima vita, per molti aspetti ancora sco­no­sciuta e gra­vida di segreti, che ho avuto occasione di conoscere attraverso le pagine de "Il Manifesto" (da http://ilmanifesto.info/i-segreti-di-tina-modotti/) e sono qui a riportare.
Ebbe ini­zio nell’ottobre del 1930 in Unione Sovie­tica, quando la Modotti dopo l’espulsione per motivi poli­tici dal Mes­sico giunse a Mosca dopo un breve e infe­lice sog­giorno a Ber­lino. Anche se Tina masche­rava i suoi sen­ti­menti citando spesso una frase di Nie­tz­che — «Ciò che non mi uccide mi dà forza» — nell’animo era tur­bata e smar­rita. L’anno prima il suo com­pa­gno, il rivo­lu­zio­na­rio cubano Anto­nio Mella, era morto tra le sue brac­cia in una strada di Mexico City vit­tima di un agguato poli­tico dai con­torni rima­sti oscuri. Giunta a Mosca, l’affascinante foto­grafa dai capelli cor­vini e dagli occhi di car­bone, ele­gante, con le calze di seta e pro­fu­mata con costose essenze fran­cesi, sco­prì che il suo amico e accom­pa­gna­tore nel viag­gio sul piro­scafo Edam dal Mes­sico in Europa, l’agente sta­li­ni­sta Vit­to­rio Vidali, uomo dai mille volti, il 2 otto­bre si era spo­sato usando il nome di coper­tura di Jorge Con­tre­ras con Pau­lina Haf­kina, una gio­va­nis­sima russa, che aspet­tava un figlio da lui.
A Mosca Tina era alla ricerca di una nuova vita e di nuovi inte­ressi. Era cono­sciuta come un’artista della foto­gra­fia, ma non era d’accordo se «le parole arte e arti­stico ven­gono appli­cate al mio lavoro… Mi con­si­dero una foto­grafa e niente di più». Invece di foto­gra­fare la com­plessa realtà della prima nazione del comu­ni­smo, Tina ini­ziò a lavo­rare per il Mopr (Soc­corso rosso inter­na­zio­nale). In un docu­mento auto­grafo del 23 novem­bre 1930 dichiarò che Jorge Con­tre­ras (alias Vit­to­rio Vidali) gli aveva con­se­gnato i docu­menti dei Dipar­ti­menti latino-americano, ita­liano, por­to­ghese e spa­gnolo in ordine e aggior­nati. Insieme all’ambizioso e spie­tato, Tina scrisse anche diverse let­tere e risolse alcuni pro­blemi delle sezioni cana­desi, sta­tu­ni­tensi, irlan­desi del Soc­corso rosso.
A Mosca Tina però non riu­scì a foto­gra­fare. Per­ché non fu più capace di ritro­vare nelle imma­gini quella ori­gi­nale sin­tesi tra forma e ideo­lo­gia per quale era famosa? La luce sla­vata e tetra di Mosca, le dif­fi­coltà nel tro­vare i mate­riali foto­gra­fici per la sua Gran­flex e nell’ottenere i per­messi per gli scatti non sono motivi suf­fi­cienti a giu­sti­fi­care una crisi arti­stica così pro­fonda. «Vivo una vita com­ple­ta­mente nuova, tanto che mi sento diversa» scrisse a Edward Weston, il grande foto­grafo ame­ri­cano suo con­fi­dente che l’aveva avviata alla fotografia.
Fino a qual­che mese prima Tina aveva pen­sato che le imma­gini potes­sero pro­durre un cam­bia­mento del mondo. Da quando era par­tita dal Mes­sico con Vidali que­sto con­vin­ci­mento era stato rim­piaz­zato dall’idea dell’azione diretta, dell’agire come una vera rivo­lu­zio­na­ria. L’Ufficio spe­ciale della Ogpu (la poli­zia segreta sovie­tica ante­si­gnana dell’Nkvd) il 12 marzo 1931 rice­vette una richie­sta da Elena Stas­sova, pre­si­dente di Soc­corso Rosso, dove si chie­deva di auto­riz­zare Tina a pren­dere visione e occu­parsi di docu­menti segreti. La Quinta sezione spe­ciale dell’Ogpu rispose il 24 aprile 1931, auto­riz­zando la Modotti a svol­gere quel lavoro segreto.
Da tempo le sezioni segrete di Soc­corso rosso e del Comin­tern (la sezione super­se­greta deno­mi­nata Oss) agi­vano all’estero in stretta col­la­bo­ra­zione e in sup­porto con i Ser­vizi segreti sovie­tici, l’Ogpu (che diven­terà poi Nkvd) e il Gru dell’Armata Rossa. Anche se Tina era riu­scita a ven­dere l’ingombrante Gran­flex e a sosti­tuirla con una moder­nis­sima (e intro­va­bile in Urss) Leica mod. 1932 con espo­si­me­tro incor­po­rato; anche se poteva diven­tare la foto­grafa uffi­ciale di qual­che impor­tante isti­tu­zione dello Stato sovie­tico, rifiutò ripe­tu­ta­mente le offerte di scat­tare foto.
In quei mesi aveva anche chia­rito il rap­porto con Vidali. In pas­sato non si era pre­oc­cu­pata di avere avven­ture mul­ti­ple, ma giunta a Mosca pen­sava solo ai suoi doveri e alla sua inte­grità di rivo­lu­zio­na­ria. Per que­sto scrisse in una auto­bio­gra­fia per pre­sen­tarsi al Comin­tern: «Il nome di mio marito è Vit­to­rio Vidali (Jorge Con­trera). È di ori­gine ita­liana. È mem­bro del Par­tito Comu­ni­sta ed è da anni rivo­lu­zio­na­rio pro­fes­sio­ni­sta». La sua auto­bio­gra­fia è un docu­mento inte­res­sante. Tra­la­sciando il fatto che Vidali avesse spo­sato qual­che tempo prima una gio­vane russa, nel docu­mento com­paio signi­fi­ca­tive omis­sioni sul pas­sato lavoro di attrice nel cinema di Hol­ly­wood o sulla sua sto­ria d’amore con il rivo­lu­zio­na­rio Anto­nio Mella, amico di Andreu Nin, e in odore di tro­tski­smo. Ma que­sta incon­sueta auto­bio­gra­fia dat­ti­lo­scritta offre anche un inte­res­sante spac­cato psi­co­lo­gico di Tina. «Quando avevo nove anni mio padre emi­grò negli Stati Uniti in cerca di lavoro. Per lun­ghi inter­valli di molti mesi non rice­vemmo da lui nes­suna noti­zia né spedì soldi a casa per man­canza di lavoro. Ciò signi­fica che dove­vamo vivere pra­ti­ca­mente di carità. All’età di 13 anni comin­ciai a lavo­rare e da quel momento in poi mi sono sem­pre gua­da­gnata da vivere lavorando».
Nell’autobiografia del 1932 Tina si sen­tiva ancora una foto­grafa. «Con­si­dero la foto­gra­fia la mia pro­fes­sione per­ché è quella in cui ho lavo­rato più tempo e cono­sco tutte le fasi di que­sto lavoro». C’è però una nota con­clu­siva che fa pen­sare ad altre aspi­ra­zioni: «Cono­sco le seguenti lin­gue: ita­liano, spa­gnolo, inglese, nelle quali so scri­vere e leg­gere. Inol­tre cono­sco il tede­sco e il fran­cese, ma non cor­ret­ta­mente e senza saperle scrivere».
Vit­to­rio Vidali pen­sava da tempo che Tina fosse la per­sona ideale per il «lavoro segreto». Con il suo viso dolce e pulito, la sua ele­ganza natu­rale, la sua bella pre­senza poteva supe­rare ogni con­fine. E per un agente segreto la foto­gra­fia era sem­pre più un lusso. «Que­sta rivo­lu­zio­na­ria ita­liana, arti­sta straor­di­na­ria con la sua mac­china foto­gra­fica, andò in Urss per foto­gra­fare la gente e i monu­menti. Ma venne rapita dal ritmo incon­te­ni­bile del socia­li­smo in pieno fer<CW-5>mento e gettò la mac­china foto­gra­fica nel fiume di Mosca, pro­met­tendo di con­sa­crare la pro­pria vita al più umile lavoro del Par­tito comu­ni­sta» scrisse nel 1974 Pablo Neruda, amico della Modotti. In realtà Tina, prima di entrare defi­ni­ti­va­mente nella nuova vita delle ombre, degli spec­chi, dei misteri e dei segreti non gettò «la mac­china foto­gra­fica nel fiume di Mosca».
Il 13 giu­gno 1932 nella stanza che occu­pava nello squal­lido e pol­ve­roso Hotel Soyuz­naya, dopo aver siste­mato obiet­tivo ed espo­si­zione della sua Leica, la porse ad Angelo Masutti un ragazzo sedi­cenne che aiu­tava Vidali a Soc­corso Rosso dicen­do­gli: «Pren­dila… e fammi una foto». Il gio­vane scattò con la Leica una prima foto in con­tro­luce e un’altra con Tina semi­gi­rata verso la fine­stra. E poi una terza di Tina con Vidali dall’aria stra­na­mente pro­tet­tiva. Angelo Masutti fece per resti­tuirle la mac­china foto­gra­fica, ma Tina lo fermò dicen­do­gli: «Tie­nila». Era ormai con­vinta che «Il par­tito avesse sem­pre </CW>ragione». E come disse il regi­sta Ser­gej Eisen­stein, «aveva sacri­fi­cato l’arte per la politica».
Tina ini­ziò a svol­gere mis­sioni segrete in Spa­gna, Fran­cia, Ger­ma­nia, por­tando soldi, docu­menti, ordini, diret­tive. L’affascinante ed ele­gante signora «bela y her­mosa» arri­vata dal Mes­sico qual­che anno prima piena di forza, era diven­tata una donna silen­ziosa, tri­ste, spesso depressa. Allo scop­pio della Guerra civile spa­gnola i foto­grafi Robert Capa, David Sey­mour e Gerda Taro la inci­ta­rono a tor­nare a foto­gra­fare. Ma Tina pre­ferì il lavoro con le autoam­bu­lanze e negli ospe­dali con il nome di bat­ta­glia di «Vera Mar­tini» e suc­ces­si­va­mente con lo pseu­do­nimo di «Maria» tornò al lavoro segreto sem­pre più tri­ste e spenta.
Non si sa se par­te­cipò ai com­plotti, alle trap­pole che por­ta­rono alle ucci­sioni degli oppo­si­tori di Sta­lin, degli anar­chici e dei comu­ni­sti anti­sta­li­ni­sti di Andreu Nin del Poum, delle quali fu accu­sato più volte «il marito» Vit­to­rio Vidali. Al momento della scon­fitta delle forze repub­bli­cane di Spa­gna era una donna esau­sta, sof­fe­rente, scon­fitta. Era invec­chiata pre­co­ce­mente. Tornò in Mes­sico e visse ancora qual­che anno sem­pre più stanca, sem­pre più tri­ste, dila­niata dagli incubi del pas­sato. Morì all’alba del 6 gen­naio. Sola, su un taxi nelle vie di Mexico city, dopo una lite con Vidali. Era stata defi­ni­ti­va­mente fago­ci­tata dalle per­sone per le quali aveva abban­do­nato la sua arte.

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