lunedì 18 maggio 2015

La vetrina del lunedì: La scultura costruttiva






LA SCULTURA COSTRUTTIVA


Pensavate di esservela schivata ma...non è ancora mezzanotte quindi posso ritenermi in tempo per stilare la mia Vetrina del Lunedì...
Protagonista di oggi è più che una vera e propria tendenza artistica un gruppo di artisti operativo negli anni ottanta  a Dusseldorf. La loro vita di comunità condotta abitando e lavorando iunsieme in una sorta di comunità sulla Hildebrandstrasse li ha cobndotti, seguendo le orme ormai imoietose di giganti dell'arte quali erano Marcel Duchamp, Joseph Beuys ecc. ad una sorta di ricerca comune.
Ludger Gerdes, Harald Klingelholler, Wolfgang Luy, Reinhrad Mucha e Thomas Schutte investigano lo spazio sociale, la funzione simbolica di certi edifici come i musei o le stazioni. 

Reinhard Mucha emerge nel corso degli anni Ottanta, egli elabora forme che alludono all’architettura e all’arredo interno per indagare un senso di profonda solitudine e perdita, un senso di lutto del Soggetto che si manifesta attraverso il riferimento agli spazi dell’Uomo, senza però raffigurare la persona umana.
Mucha costruisce le sue opere unendo materiali logori e trovati (vecchie porte, materassi, legni vari, belatom ecc.) con altri nuovi (feltro, legno, vetro ecc.). A volte crea effimeri agglomerati di oggetti che vengono smontati a fine mostra; altre volte crea durature e complesse installazioni di elementi che si relazionano al contesto espositivo, come nel caso di Mutterseeienallein (Solitudine) 1989, altre volte ancora crea sculture autonome sotto forma di pesanti teche vuote appese a parete, che evocano dispositivi per l’esposizione (bacheche, vetrine ecc.), come nel caso di Seelow – Fur Francois Robelin (Seeiow – Per Francois Robelin), 2003-2006 (vedi immagine). In questo genere di opere, Mucha sottolinea il peso e il dramma della storia moderna tedesca – i suoi progetti ma anche il suo crollo. II senso si trova proprio nel contrasto tra l’elaborata costruzione della “teca” e l’apparente vuoto che essa contiene. Dopo avere creato ogni nuova opera di questa serie, l’artista sceglie in maniera intuitiva un titolo traendolo da un elenco di 242 nomi di città tedesche con stazioni ferroviarie, originariamente raccolto nell’installazione/archivio Wartesaal (Sala d’attesa), 1979-1982; 1997.  Le “vetrine” – tutte opere autonome ma collegate in maniera invisibile al cuore pulsante che è l’archivio di nomi Wartesaal – si ispirano alle vecchie forme di segnaletica ferroviaria, in particolare ai cartelli che si trovano in cima ai binari e indicano la destinazione di un treno, oppure ai grandi tabelloni meccanici, con l’elenco dei treni in arrivo o in partenza. Evocano un periodo passato di grande attività industriale, pur suggerendo una distanza inesorabile da esso attraverso la loro immobilità e l’assenza di ogni indicazione o nome al loro interno.
Seelow – Fur Francois Robelin (Seelow – Per Francois Robelin), 2003-2006, è una di queste “vetrine”. Pesante come se un dipinto a parete si fosse trasformato in forma tridimensionale aggettante e aggrappata al muro, l’opera risulta dall’aver tagliato in due parti e poi unito una stoffa beige a strisce per materassi a vecchie assi di legno assemblate anch’esse a strisce, alternate a bande di feltro rientranti, chiuse frontalmente da un vetro serigrafato dall’artista. L’ovale serigrafato risale a un vecchio disegno d’infanzia di una pista per un trenino giocattolo. Mentre lo sguardo sprofonda nell’osservazione del feltro, al contempo la superficie in vetro riflette l’immagine dell’osservatore nello spazio antistante l’opera, e la serigrafia pone, invece e infine, lo sguardo dello spettatore stabilmente sul livello della superficie.
Nel 1989, Mucha crea a Napoli presso la galleria Lia Rumma la grande e complessa installazione il cui titolo tedesco è un’espressione che indica uno stato d’animo unendo le parole “madre”, “anima” e “solo”. Le sedici pesanti teche in legno, feltro, alluminio e vetro sono appese in basso sulle pareti, in modo da accentuare il loro peso, e sono illuminate da una serie di lampade al neon posizionate verticalmente.
Al centro di tutte le teche, esclusa una, si vede la fotografia in bianco e nero di una sedia vuota. Tutte diverse, le sedie sono quelle usate da custodi o stanchi visitatori di una mostra a Düsseldorf. Suggeriscono un grande e profondo vuoto, la solitudine di ogni individuo, eppure celebrano anche la poesia dell’attesa, la specificità di ogni sedia e di ogni persona (Liberamente tratto da http://www.castellodirivoli.org/artista/reinhard-mucha/#).

L'artista come i suoi "compagni di pensiero", pare muoversi sull'ondata letteraria creata dall'opera di Richard Sennet "Il declino dell'uomo pubblico" in cui non sono la freddezza, l'estraneità, l'impersonalità, ad impersonificare  i mali della nostra epoca, ma, piuttosto,  l'esasperata ricerca dell'autenticità e l'impoverirsi della vita pubblica. Questo libro di sociologia interpretativa del secondo Novecento coglieva, al di là delle mode del momento, tendenze fondamentali che caratterizzano la nostra società contemporanea. Si pensi solo al nesso tra la cultura del narcisismo e l'indebolimento dell'individuo che ha come esito l'uomo flessibile, infinitamente adattabile.... Sennet e con lui gli artsiti di Dusseldorf, volendo tracciare le linee di una storia del rapporto individuo-società nel mondo moderno, si spingono fino alla rottura dell'equilibrio tra pubblico e privato e alla deriva intimistica che paradossalmente svuota di significato anche la sfera personale. Così facendo essi ripercorrono la sfera sociale, combinando in un grande affresco il mondo del teatro e della strada, l'abbigliamento e l'urbanistica, la vita politica, artistica e amorosa. 
Chiara Messori

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