
JEAN DELVILLE
La scuola di Platone
«Gli uomini che amano il sapere sanno che la filosofia, prendendo la loro anima, dà ad essa consiglio e cerca di scioglierla, dimostrando che l’indagine che si conduce mediante gli occhi è piena di inganni, e così anche l’indagine che si conduce mediante gli orecchi e gli altri sensi, persuadendola ad abbandonare questi, se non per quel tanto che è necessario far uso di essi, ed esortandola a raccogliersi in se stessa e non credere a nient’altro che a se stessa.»
(Platone, Fedone, parla Socrate, 83 A)
Oggi voglio tornare un po' indietro nel tempo. Non sono mai stata, nè sarò mai amante delle cosidette avanguardie o correnti artistiche ma, andando a ritroso posso dire che mi sono state molto utili, sia per capire l'arte contemporanea che per titillare lo sguardo perdendomi nelle opere di alcune figure particolari e, sicuramente, Jean Delville è una di queste.
Artista belga egli fa parte di quella corrente definita Simbolismo, la sua idea di arte corrisponde a quella di evasione: è un'arte pura che si pone come antidoto alla banalità del vivere quotidiano.
Ho deciso di scegliere tre immagini, per me le più rappresentative dell'artista.
Partirò dalla Scuola di Platone.
L'opera, dalle dimensioni monumentali, era stata pensata per la Sorbona ma non vi fu mai installata. Al centro della scena, dipinta con irrealistici colori pastello, segno dell'influenza di Puvis de Chavannes,
il massimo pittore-decoratore dell'epoca, campeggia la figura di Platone i cui connotati però ci riportano subito alla mente il Cristo attorniato da dodici figure, chiaro richiamo alla dozzina apostolica. L'androginia e le pose lascive dei giovani apostoli/efebi, il giardino idealizzato alle loro spalle, l'atmosfera rarefatta dell'insieme conferiscono alla scena
un'atmosfera al contempo religiosa ed erotica. I nudi sono prendono spunto dalla statuaria classica per le pose ma sono resi manieristicamente, la composizione è frontale e simmetrica ma nonostante questi
numerosi riferimenti questa visione del filosofo rimane
ambigua, sospesa tra il sacro ed il profano, ci pone un dubbio senza darci la via d'uscita.


Il Tesoro di Satana, 1894 - Musee D'Orsay - Parigi
Un fiume di corpi incandescenti, quasi un magma primordiale che esce dall'abisso marino, lacerandolo e inondando il primo piano di questa tela. Il Tesoro di Satana si trova in fondo al mare, ed egli è il mostro marino che sovrasta questo tesoro fatto di carne umana, sormontandolo e travolgendolo in una sorta di spirale che lo domina. Lo sfondo, dai toni bruniti, quasi fosse stato incenerito da questa lava di corpi, sfonda lo spazio visivo e sembra fuoriuscirne. I corpi, benchè proporzionati, cedono alle volte ad un allungamento manieristico che contribuisce a rinforzare la loro dinamicità, come emerge chiaramente nella resa volumentrica della gamba oltremodo slanciata di Satana, centro della composizione. I peccatori, gente avida attaccata ai tesori materiali, i cosiddetti ‘bassi di animo’, intrappolati nei tentacoli di Satana negli abissi marini, sono stati anche la copertina di "Blessed are the sick", album dei metallari Morbid Angel e non è un caso...

Prometeus
L'ultima opera che vi propongo è Prometeus. Essa è testimonianza di un rapporto tra due grandi artisti quali il pittore Delville ed il musicitsa Skriabin.
Fu un'autentica visione quando nel 1907, entrato nello studio del pittore Delville in Avenue des Sept-Bonniers a Forest, presso Bruxelles, Skrjabin s'imbatté nella gigantesca tela del Prometeo. Questo titano, che per Delville è il padre degli iniziati, inaugura la stirpe di Orfeo, Apollo, Rama, Krishna, Ermete, Mosè, Pitagora, Platone, Cristo.
Il mitico titano che aveva plasmato esseri umani simili agli dèi e che aveva rubato una fiaccola dal sole, portando così il fuoco agli uomini, diviene per il compositore il simbolo della lotta dell'anima contro la materia e della sua ascesa verso lo spirito. Folgorato dal quadro, Skrjabin mette mano alla sua sinfonia di colori, intitolata Prometeo. Il poema del fuoco. Quest'opera sinestetica dall'enorme organico con orchestra, doppio coro, organo, celesta, si avvale di un nuovo strumento, il "clavier à lumière", una sorta di pianoforte in cui a ogni tasto corrisponde un fascio di luce colorata. Nell'utopico progetto, questa luce, in sincronia con la musica, doveva inondare la sala e gli spettatori. Skrjabin costruisce una vera e propria tavolozza musicale, suddividendo la scala cromatica in dodici toni e associando a ognuno di questi un colore suonato e visualizzato dall'improbabile tastiera, inserita in partitura con il nome di "luce".
Skrjabin inizia la stesura del Prometeo a Bruxelles nell'aprile del 1909, due anni dopo l'incontro con il quadro di Delville e da questa musica, da questo ''autentico fuoco'', il pittore trae il suo secondo Prometeo per il frontespizio della partitura, in un percorso inverso, dal suono al quadro. Questa copertina, che segna la svolta di Delville dai temi wagneriani alle opere skrjabiniane, è un vero manifesto filosofico, pieno di rimandi teosofici e simboli esoterici. La fiamma tra le sopracciglia del dio, sede del terzo occhio, è simbolo di chiaroveggenza e tocca la quarta corda della lira, che allude all'intervallo di quarta su cui si fonda l'accordo prometeico. Nella mistica dei numeri il quattro è quello che indica l'Io, l'Uomo. Il doppio triangolo intrecciato, inserito nel sigillo in basso, rimanda all'unione di materia e spirito ed è circondato dal serpente che si morde la coda, l'ouroboros, che allude alla concezione ciclica del tempo, nel passaggio dalla vita alla morte, dalla morte alla reincarnazione, dal caos al "cosmos", dal dolore all'estasi (liberamente tratto da http://www.undo.net/it/magazines/1105991659#).
Chiara Messori
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