Lo Spazio culturale MADONNA DEL CORSO, sito in via Claudia 277 a Maranello ospiterà, nella settimana dal 12 al 20 ottobre 2019, la mostra DI-SEGNO IN-SEGNO; bipersonale degli artisti Antonio Caputo e Cetti Tumminia.
L’edificio, nato come convento francescano nel 1653, divenne poi chiesa, officina artigianale e, grazie ad un restauro/recupero voluto dal Comune di Maranello, aprì le sue porte come spazio culturale nell’autunno del 2005.
La tecnica pittorica magistrale dei ritratti e della figurazione di Antonio Caputo, classe 1976, risente dell’influenza del suo docente accademico Omar Galliani anche se i colori caldi di cui la sua opera è intrisa, ci riportano alla mente i muri degli affreschi pompeiani conditi con un ricordo manierista alla Bruno D’ Arcevia, da cui è stato per anni a bottega. Queste figurazioni si sposano con i bianchi e neri dei disegni iperrealisti di Cetti Tumminia, classe 1977.
La sua ricerca privilegia la grafite ma sperimenta, al contempo, molteplici supporti e diversi mezzi pittorici. L’artista mette inscena un caleidoscopio di personaggi, per lo più femminili, che rappresentano gli stati d’animo insiti in ognuno di noi.
DI-SEGNO IN-SEGNO, con questo gioco di parole gli artisti svelano il loro intento. La loro prima intenzione è quella di mostrarsi e mostrarci la loro arte attraverso le opere, i DISEGNI per l’appunto, che sono SEGNI distintivi del loro “sentire” e vedere il reale, ma non solo, infatti da lunedì 14 a domenica 20 Ottobre, gli artisti in qualche modo INSEGNERANNO, cioè realizzeranno le loro opere dal vivo rendendo così fruibile il processo produttivo a chi avrà la curiosità di vedere come si materializzi l’opera d’arte attraverso l’ esecuzione di opere ad olio su tela e opere in grafite su carta.
Orari Aperture
Vernissage Sab. 12 Ottobre h 17 – 19
Mostra | Open Studio
12 – 20 Ottobre 2019
Lun/Ven 10:00 - 12:30 | 17:00 - 19:00
Sab/Dom 10:00 - 13:00 | 15:00 - 19:00
(Open Studio non attivo Sab.12 e Dom.13)
ANTONIO CAPUTO
“Cielo grande cielo blu”
(Augusto Daolio, Nomadi)
Per descrivere l’opera di A. Caputo parto dalle parole del grande pittore, poeta nonché voce dei Nomadi, Augusto Daolio. Apparentemente lontani, invece, i due artisti hanno avuto modo di conoscersi e Caputo è stato influenzato da Daolio per ciò che concerne i cromatismi digradanti proprio dei cieli nelle sue tele. Inoltre, come il cantante scomparso, anche la mano dell’artista in mostra è guidata da una grande fantasia, che lo porta alla ricerca di un mondo quasi magico.
La tecnica pittorica magistrale dei ritratti e della figurazione di Antonio Caputo, di origini calabresi ma reggiano d’adozione, classe 1976, risente dell’influenza del suo docente accademico Omar Galliani. Troviamo infatti, nelle matite di Caputo, una rielaborazione, in piena libertà, di soggetti mutuati da iconografie classiche. I suoi ritratti e le figure seguono temi di pura fantasia a cui l’artista dà l’aspetto visionario di apparizioni inserendo animali o particolari anche stranianti. Ma, mentre Galliani fa “svanire” alle volte i suoi soggetti nel prevalere di una luce o facendoli sprofondare nel nero che tratta con tanta maestria, Caputo li mantiene “fluttuanti” sul foglio da disegno, quasi ci volesse dare l’impressione di vedere una realtà “parallela” in cui queste immagini siano veramente possibili. E ancora, nei dipinti ad olio di questo ultimo decennio in mostra, sopravvive il tema del volto, scolpito da violenti e caravaggeschi chiaroscuro, come nel Maestro di Montecchio Emilia.
Con le opere ad olio, appunto le suggestioni derivate da altri autori, si addensano. I colori caldi di cui queste opere sono intrise, ci riportano alla mente i muri degli affreschi pompeiani conditi con un ricordo manierista alla Bruno D’ Arcevia, da cui è stato per anni a bottega.
Torniamo, viaggiando con la mente, alla “Bottega dell’artista”, a quel “nuovo Manierismo” che nacque a Roma nei primi anni ottanta, nel contesto della Transavanguardia, con l’obiettivo di recuperare la grande tradizione pittorica del Rinascimento e le tecniche del Manierismo cinquecentesco (Pontormo, Rosso Fiorentino, Del Sarto).
Infatti fu la crisi della figurazione, dalle Avanguardie storiche alle ultime tendenze post-belliche, che suggerì ad un numeroso gruppo di artisti italiani (Anacronismo, Pittura Colta, Ipermanierismo, ecc.)una sorta di ritorno al mestiere di pittore, all’uso dei pennelli e dei materiali tradizionali per promuovere una rinnovata e proficua stagione, dove l’invenzione non prescinde dalla qualità del manufatto. Ed è proprio questa la peculiarità delle sue opere. Nonostante la sua giovane età, le tele di quest’artista richiamano immediatamente ad un’espressione artistica che si dissocia dalla successione temporale in cui è collocata; è piuttosto leggibile non come progressione espressiva, ma come spirale che si distende senza perdere di vista i contorni più antichi, il centro; la vera arte è sempre contemporanea, continua a trasmettere tutta la sua ricchezza quando riesce a rinnovare la sua visione.
Non dimentichiamo però che comunque l’artista riceve anche le suggestioni del suo tempo e sceglie dei PADRI pittorici, ad esempio il modenese Wainer Vaccari. Da lui Caputo introietta un certo gusto per la pittura manierista di stampo nordico ed una sua cifra stilistica che oscilla tra soggetti fantasiosi, ma tradizionali, e figure trasfigurate.
Le opere esposte in questa sede coprono un arco temporale di dieci anni (dal 2009 al 2019) e chiudono un ciclo. La maggioranza di ritratti presenti non connotano però il pittore come “ritrattista” comunemente inteso in quanto non sono realistici in toto; c’è sempre qualcosa di “non completamente definito” che porta alla ribalta una vasta gamma d’interpretazioni.
La tematica trattata fin ad ora da Caputo appartiene ad un suo bagaglio culturale che potrà essere anche ripristinato in futuro ma che, ad oggi, si sta dirigendo verso la rappresentazione della figura umana in generale, contestualizzata in diversi ambiti, con un interesse in particolare verso un vecchio o un nuovo immaginario mitologico. Infine la sua attenzione si sposterà anche su parti del corpo specifiche dipinte in modo da farne emergere alcune particolarità.
CETTI TUMMINIA
“Ombra è il termine per il quale intendono quel colore più o meno scuro, che degradando verso il chiaro, serve nella pittura per dar rilievo alla cosa rappresentata”
Ernst H. Gombrich
Prendo in prestito queste parole dello storico dell’arte Ernst H. Gombrich per immergermi nell’opera di Cetti Tumminia, sassolese, classe 1977.
Le sue opere sono veri e propri “dipinti” in cui la componente del bianco e nero la “fa da padrone”. Il suo è un segno che si trasforma, diventa altro da sé, parte tracciandosi a volte in modo netto e così rimane, mostrandoci la sua vera essenza, oppure invece diventa qualcosa d’indistinto; viene a tal punto controllato da risultare difficilmente rintracciabile.
L’artista, in quest’esposizione presenta un progetto che la spinge a comunicarci qualcosa di più di una “bella immagine”. Tumminia lavora, al contempo, sul concetto di responsabilità di un messaggio/media che vuole andare oltre i confini dell’immagine stessa.
Le sue visioni partono da una volontà: far emergere la luce.
Essa, artisticamente parlando, trova la sua massima espressione nell’interdipendenza con l’ombra. Quest’ultima è la complementarietà con gli opposti; la condizione che crea unità: caldo-freddo, maschile-femminile, giorno-notte.
Infatti una superficie bianca o nera senza indicazioni che ne descrivano lo spazio, è una superficie inerte, non ha vibrazioni, è senza vita. E’ la diversità di contrasto, la contrapposizione, a generare altro nuovo da sé.
Tumminia usa la matita come media principale ma contamina il suo segno con gesso, a volte usa la pittura ad olio, si serve di tocchi di colore realizzati con pastelli morbidi; tutto ciò “completa” il messaggio dell’opera, donandole maggiore profondità.
L’artista sceglie cosa comunicare, come comunicarlo e come usare i supporti-media che qui si strutturano come un suo personale linguaggio e, quindi, parte fondamentale del messaggio.
Per l’ artista l’ombra illumina quello che è nascosto: l’epifania del vero, della bellezza.
Ed ecco che l’esperienza estetica si prefigura non solo come veicolo di ricezione e conoscenza ma anche come paradigma di senso. Ciò coincide con la dimensione della speranza che Hans Robert Jauss trova in ogni autentica esperienza estetica.
“Questa speranza può essere giustificata se si mostrano gli effetti delle tre funzioni dell’agire umano là dove, nell’attività estetica, la tecnica diventa trasparente come poesis, la comunicazione come katharsis e l’immagine del mondo come aisthesis nell’esperienza dell’arte che, insopprimibile ed ininterrotta nell’avvicinarsi dei rapporti di dominio, percorre la via della formazione estetica” (Jauss, 1987, p. 14).
E sembra essere proprio la Speranza, intesa come rinascita, capacità di proseguire il difficile cammino della vita pur con tutte le preoccupazioni e le riflessioni che ciò comporta, ciò che fa progredire l’artista. Tumminia ci invita a guardare dentro un caleidoscopio di personaggi femminili che ci chiedono di provare ad entrare nel loro mondo, di leggere i loro stati d’animo. Dobbiamo soffermarci, osservarle bene perché questo mondo femminile propone molti spunti di riflessione…
Dalla riflessione sullo stato disastroso in cui versa il nostro ecosistema a quella sulla condizione di fragilità in cui si trova ancora oggi a vivere ed operare l’universo femminile; dal racconto di una passione agli ostacoli per realizzarla.
Questa serie di lavori, “uscendo dall’ombra” (interiore ed esteriore), si rivelano in tutta la loro potenza espressiva, attraverso esperienze di tecniche, di materiali, di abilità, di studio, formano un humus denso, profondo, intriso di significati nascosti. Una sostanza piena di senso che non può essere spiegata a parole… un senso diverso che ci propone di vivere la vita nella sua pienezza, nella comprensione del vero e del bello perché come diceva il principe Myskin ne “L’Idiota” di Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo” e noi un po’ ci crediamo ancora…
L’artista attualmente sta dirigendo la sua ricerca verso nuove forme di rappresentazione e, nella settimana di open studio, partendo appunto da questa nuova sperimentazione e utilizzando le tecniche ormai da lei consolidate, creerà nuove figurazioni.
Chiara Messori
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