lunedì 4 novembre 2019

La vetrina del lunedì: Primo incontro in galleria - MONDRIAN




PRIMO INCONTRO CON L'ARTE MODERNA
PIET MONDRIAN 
(Amesfoort, Utrecht,1872- New York 1944)



                                                  Risultati immagini per piet mondrian foto



Apro la settimana proponendovi il primo di una serie di incontri sull'arte moderna che si terranno presso la Galleria Spazio Fisico - via San Salvatore,11 - Modena.
Recentemente Spazio Fisico ha iniziato una collaborazione con l' Associazione  ASD e APS "Il Germoglio e la Quercia" (www.ilgermoglioelaquercia.it) che si occupa di corsi e tecniche olistiche per il benessere del corpo e della mente. A tal proposito pensiamo che l'arte possa significativamente contribuire al benessere mentale di ciascuno di noi e, questa serie d'incontri, sono volti ad "indirizzare" ad una maggior comprensione dell'arte moderna e dei suoi protagonisti.
Abbiamo scelto come "apri pista" il famoso artista Piet Mondrian perché, nonostante ormai i suoi rettangoli colorati ci siano stati proposti un po' "in tutte le salse" (su manifesti, magliette, borse, orecchini, vestiti ecc.), volevamo indagarne il significato e soprattutto fare un percorso "a ritroso" per capirne l'origine. 
Vedendo l'arte come un "lungo filo" che, partendo dalla preistoria, arriva fino ai giorni nostri, cerchiamo di "prendere un punto" di questa storia, capire cosa è successo e spiegare le personalità artistiche che vivevano quel determinato periodo storico e i luoghi che esperivano per riuscire a comprendere i significati delle loro figurazioni.
Piet Mondrian nasce in Olanda nel 1872. E' figlio di un pastore protestante, calvinista, dalle "chiese spoglie."
La sua arte si rivolge verso la teosofia, a cui rimase sempre intimamente legato. Egli voleva raggiungere una più profonda conoscenza della natura rispetto a quella resa disponibile dai mezzi empirici. Nel 1912 si trasferì a Parigi ed il suo "calvinismo" si trovò immerso in una Parigi che viaggiava a metà tra il simbolismo ed il cubismo. 
Nel frattempo intanto in Olanda Van Gogh "entrava" nella natura dandone un'interpretazione di "germogliazione".
In questo periodo invece Mondrian subirà  l'influenza del cubismo (Picasso e Braque). Da qui egli comincerà a "sintetizzare" la rappresentazione, come possiamo notere del quadro "La cattedrale":


Risultati immagini per la cattedrale mondrian

La sua attenzione si sposterà più verso elementi naturali ed eseguirà una serie di alberi che diverranno via via più astratti nelle forme e poco colorati, scomposti in elementi essenziali.

Risultati immagini per albero rosso mondrian L'albero rosso





Risultati immagini per albero rosso mondrian


Albero grigio

Nelle ultime opere più contemporanee, egli arriva ad una sintesi ultima; sono elementi verticali ed orizzontali sintetizzati a tal punto da divenire incontri di linee. E' il punto più alto a cui tendere; è l'uomo calvinista che diventa asceta.




  
Risultati immagini per albero rosso mondrian                   




Risultati immagini per piet mondrian composition with large red plane, yellow, black, gray and blue





Le sue opere richiedono tempi d'esecuzione lunghissimi perché realizzati con campiture ad olio che, col passare del tempo, hanno fatto l'effetto craclè.

In questa sede l'ingegner Guidotti, relatore, ha ben reso l'idea della "sintetizzazione Mondriana" proponendoci una sintesi fatta da lui servendosi di linee nere orizzontali e verticali che vanno a reinterpretare un'opera del 1660 di Jacob J. Van Ruisdael "Il campo di grano".




Nel 1940 l'artista si trasferì a New York dove visse la sua ultima stagione, felice dell'incontro con il nuovo mondo come testimoniano i coloratissimi "Broadway Boogie-Woogie. Qui si arriva all'astrazione pura, priva di qualsiasi tipo di raffigurazione riconoscibile; in cui la geometria è la massima espressione della razionalità.


                          Risultati immagini per piet mondrian broadway boogie woogie




Il successo di Mondrian lo portò poi ad incontrarsi con l'architettura neoplastica che intendeva lo spazio come "scomposizione degli elementi che lo compongono". In questa concezione le superfici venivano diversificate attraverso i colori e fatte "slittare".


                                               Risultati immagini per piet mondrian influenza architettura De Stijl

Abbiamo provato, in questa sede, a cercare di capire per voi e con voi uno dei grandi artisti dell'epoca moderna e per farlo siamo partiti da una concezione lontana, quella dell'estetica…
Il termine Estetica venne coniato da Alexander Gottlieb Baumgarten nel 1750. Da allora in poi nacque una nuova concezione del bello o meglio, l'idea del "bello" scompare in favore dell'emozione.
Da lsecondo dopoguerra poi tutto diviene estetica e quest'ultima diventa anche una "scusa" perché in questo calderone allora veramente si può includere tutto ciò che riesce a "trasmettere" un'emozione. Da qui scaturirà anche la così detta "poetica dell'oggetto" inteso come "veicolo di emozione".
A tal proposito allora abbiamo fatto una riflessione: visitando il "bidone dell'immondizia" della storia possiamo trovare qualcosa che ci dà un'emozione, farlo rivivere e connotarlo di una sua estetica. Questo strappo
Si tratta di uno strappo preso o meglio "recuperato" da un rifugio militare americano della seconda guerra mondiale, ha una sua estetica perché veicola nello spettatore una sensazione.



Partendo dall'arte intesa come qualcosa che trasmette sensazioni, stati d'animo, cercheremo di proseguire il nostro percorso indagando altre figure di artisti importanti per la storia dell'arte contemporanea, la cui comprensione ci aiuterà ad affrontare e a porre le basi per poter capire meglio anche l'arte contemporanea che rimane per molti ancora poco comprensibile. Seguiteci a Spazio Fisico e su questo blog! Buona visione!
Chiara Messori


















venerdì 11 ottobre 2019

DI-SEGNO IN-SEGNO Mostra di A. Caputo e C. Tumminia







Lo Spazio culturale MADONNA DEL CORSO, sito in via Claudia 277 a Maranello ospiterà, nella settimana dal 12 al 20 ottobre 2019, la mostra DI-SEGNO IN-SEGNO; bipersonale degli artisti Antonio Caputo e Cetti Tumminia.
L’edificio, nato come convento francescano nel 1653, divenne poi chiesa, officina artigianale e, grazie ad un restauro/recupero voluto dal Comune di Maranello, aprì le sue porte come spazio culturale nell’autunno del 2005.

La tecnica pittorica magistrale dei ritratti e della figurazione di Antonio Caputo, classe 1976, risente dell’influenza del suo docente accademico Omar Galliani anche se i colori caldi di cui la sua opera è intrisa, ci riportano alla mente i muri degli affreschi pompeiani conditi con un ricordo manierista alla Bruno D’ Arcevia, da cui è stato per anni a bottega. Queste figurazioni si sposano con i bianchi e neri dei disegni iperrealisti di Cetti Tumminia, classe 1977.
La sua ricerca privilegia la grafite ma sperimenta, al contempo, molteplici supporti e diversi mezzi pittorici. L’artista mette inscena un caleidoscopio di personaggi, per lo più femminili, che rappresentano gli stati d’animo insiti in ognuno di noi. 

DI-SEGNO IN-SEGNO, con questo gioco di parole gli artisti svelano il loro intento. La loro prima intenzione è quella di mostrarsi e mostrarci la loro arte attraverso le opere, i DISEGNI per l’appunto, che sono SEGNI distintivi del loro “sentire” e vedere il reale, ma non solo, infatti da lunedì 14 a domenica 20 Ottobre, gli artisti in qualche modo INSEGNERANNO, cioè realizzeranno le loro opere dal vivo rendendo così fruibile il processo produttivo a chi avrà la curiosità di vedere come si materializzi l’opera d’arte attraverso l’ esecuzione di opere ad olio su tela e opere in grafite su carta. 

Orari Aperture
Vernissage Sab. 12 Ottobre h 17 – 19
Mostra | Open Studio
12 – 20 Ottobre 2019
Lun/Ven 10:00 - 12:30 | 17:00 - 19:00
Sab/Dom 10:00 - 13:00 | 15:00 - 19:00
(Open Studio non attivo Sab.12 e Dom.13)


ANTONIO CAPUTO
“Cielo grande cielo blu”
(Augusto Daolio, Nomadi)

Per descrivere l’opera di A. Caputo parto dalle parole del grande pittore, poeta nonché voce dei Nomadi, Augusto Daolio. Apparentemente lontani, invece, i due artisti hanno avuto modo di conoscersi e Caputo è stato influenzato da Daolio per ciò che concerne i cromatismi digradanti proprio dei cieli nelle sue tele. Inoltre, come il cantante scomparso,  anche la mano dell’artista in mostra è guidata da una grande fantasia, che lo porta alla ricerca di un mondo quasi magico.

La tecnica pittorica magistrale dei ritratti e della figurazione di Antonio Caputo, di origini calabresi ma reggiano d’adozione, classe 1976, risente dell’influenza del suo docente accademico Omar Galliani. Troviamo infatti, nelle matite di Caputo, una rielaborazione, in piena libertà, di soggetti mutuati da iconografie classiche. I suoi ritratti e le figure seguono temi di pura fantasia a cui l’artista dà l’aspetto visionario di apparizioni inserendo animali o particolari anche stranianti. Ma, mentre Galliani fa “svanire” alle volte i suoi soggetti nel prevalere di una luce o facendoli  sprofondare nel nero che tratta con tanta maestria, Caputo li mantiene “fluttuanti” sul foglio da disegno, quasi ci volesse dare l’impressione di vedere una realtà “parallela” in cui queste immagini siano veramente possibili. E ancora, nei dipinti ad olio di questo ultimo decennio in mostra, sopravvive il tema del volto, scolpito da violenti e caravaggeschi chiaroscuro, come nel Maestro di Montecchio Emilia.

Con le opere ad olio, appunto le suggestioni derivate da altri autori, si addensano. I colori caldi di cui queste opere sono intrise, ci riportano alla mente i muri degli affreschi pompeiani conditi con un ricordo manierista alla Bruno D’ Arcevia, da cui è stato per anni a bottega. 
Torniamo, viaggiando con la mente, alla “Bottega dell’artista”, a quel “nuovo Manierismo” che nacque a Roma nei primi anni ottanta, nel contesto della Transavanguardia, con l’obiettivo di recuperare la grande tradizione pittorica del Rinascimento e le tecniche del Manierismo cinquecentesco (Pontormo, Rosso Fiorentino, Del Sarto). 
Infatti fu la crisi della figurazione, dalle Avanguardie storiche alle ultime tendenze post-belliche, che suggerì ad un numeroso gruppo di artisti italiani (Anacronismo, Pittura Colta, Ipermanierismo, ecc.)una sorta di ritorno al mestiere di pittore, all’uso dei pennelli e dei materiali tradizionali per promuovere una rinnovata e proficua stagione, dove l’invenzione non prescinde dalla qualità del manufatto. Ed è proprio questa la peculiarità delle sue opere. Nonostante la sua giovane età, le tele di quest’artista richiamano immediatamente ad un’espressione artistica che si dissocia dalla successione temporale in cui è collocata; è piuttosto leggibile non come progressione espressiva, ma come spirale che si distende senza perdere di vista i contorni più antichi, il centro; la vera arte è sempre contemporanea, continua a trasmettere tutta la sua ricchezza quando riesce a rinnovare la sua visione.
Non dimentichiamo però che comunque l’artista riceve anche le suggestioni del suo tempo e sceglie dei PADRI pittorici, ad esempio il modenese Wainer Vaccari. Da lui Caputo introietta un certo gusto per la pittura manierista di stampo nordico ed una sua cifra stilistica che oscilla tra soggetti fantasiosi, ma tradizionali, e figure trasfigurate. 
Le opere esposte in questa sede coprono un arco temporale di dieci anni (dal 2009 al 2019) e chiudono un ciclo. La maggioranza di ritratti presenti non connotano però il pittore come “ritrattista” comunemente inteso in quanto non sono realistici in toto; c’è sempre qualcosa di “non completamente definito” che porta alla ribalta una vasta gamma d’interpretazioni. 
La tematica trattata fin ad ora da Caputo appartiene ad un suo bagaglio culturale che potrà essere anche ripristinato in futuro ma che, ad oggi, si sta dirigendo verso la rappresentazione della figura umana in generale, contestualizzata in diversi ambiti, con un interesse in particolare verso un vecchio o un nuovo immaginario mitologico. Infine la sua attenzione si sposterà anche su parti del corpo specifiche dipinte in modo da farne emergere alcune particolarità.



CETTI TUMMINIA

“Ombra è il termine per il quale intendono quel colore più o meno scuro, che degradando verso il chiaro, serve nella pittura per dar rilievo alla cosa rappresentata”
Ernst H. Gombrich

Prendo in prestito queste parole dello storico dell’arte Ernst H. Gombrich per immergermi nell’opera di Cetti Tumminia, sassolese, classe 1977. 
Le sue opere sono veri e propri “dipinti” in cui la componente del bianco e nero la “fa da padrone”. Il suo è un segno che si trasforma, diventa altro da sé, parte tracciandosi a volte in modo netto e così rimane, mostrandoci la sua vera essenza, oppure invece diventa qualcosa d’indistinto; viene a tal punto controllato da risultare difficilmente rintracciabile. 
L’artista, in quest’esposizione presenta un progetto che la spinge a comunicarci qualcosa di più di una “bella immagine”. Tumminia lavora, al contempo, sul concetto di responsabilità di un messaggio/media che vuole andare oltre i confini dell’immagine stessa.
Le sue visioni partono da una volontà: far emergere la luce.
Essa, artisticamente parlando,  trova la sua massima espressione nell’interdipendenza con l’ombra. Quest’ultima è la complementarietà con gli opposti; la condizione che crea unità: caldo-freddo, maschile-femminile, giorno-notte.
Infatti una superficie bianca o nera senza indicazioni che ne descrivano lo spazio, è una superficie inerte, non ha vibrazioni, è senza vita. E’ la diversità di contrasto, la contrapposizione, a generare altro nuovo da sé.
Tumminia usa la matita come media principale ma contamina il suo segno con gesso, a volte usa la pittura ad olio, si serve di tocchi di colore realizzati con pastelli morbidi; tutto ciò “completa” il messaggio dell’opera, donandole maggiore profondità. 
L’artista sceglie cosa comunicare, come comunicarlo e come usare i supporti-media che qui si strutturano come un suo personale linguaggio e, quindi, parte  fondamentale del messaggio. 
Per l’ artista l’ombra illumina quello che è nascosto: l’epifania del vero, della bellezza.
Ed ecco che l’esperienza estetica si prefigura non solo come veicolo di ricezione e conoscenza ma anche come paradigma di senso. Ciò coincide con la dimensione della speranza che Hans Robert Jauss trova in ogni autentica esperienza estetica. 

“Questa speranza può essere giustificata se si mostrano gli effetti delle tre funzioni dell’agire umano là dove, nell’attività estetica, la tecnica diventa trasparente come poesis, la comunicazione come katharsis e l’immagine del mondo come aisthesis nell’esperienza dell’arte che, insopprimibile ed ininterrotta nell’avvicinarsi dei rapporti di dominio, percorre la via della formazione estetica” (Jauss, 1987, p. 14).

E sembra essere proprio la Speranza, intesa come rinascita, capacità di proseguire il difficile cammino della vita pur con tutte le preoccupazioni e le riflessioni che ciò comporta, ciò che fa progredire l’artista. Tumminia ci invita a guardare dentro un caleidoscopio di personaggi femminili che ci chiedono di provare ad entrare nel loro mondo, di leggere i loro stati d’animo.  Dobbiamo soffermarci, osservarle bene perché questo mondo femminile propone molti spunti di riflessione…
Dalla riflessione sullo stato disastroso in cui versa il nostro ecosistema a quella sulla condizione di fragilità in cui si trova ancora oggi a vivere ed operare l’universo femminile; dal racconto di una passione agli ostacoli per realizzarla. 
Questa serie di lavori, “uscendo dall’ombra” (interiore ed esteriore), si rivelano in tutta la loro potenza espressiva, attraverso esperienze di tecniche, di materiali, di abilità, di studio, formano un humus denso, profondo, intriso di significati nascosti. Una sostanza piena di senso che non può essere spiegata a parole… un senso diverso che ci propone di vivere la vita nella sua pienezza, nella comprensione del vero e del bello perché come diceva il principe Myskin ne “L’Idiota” di Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo” e noi un po’ ci crediamo ancora…
L’artista attualmente sta dirigendo la sua ricerca verso nuove forme di rappresentazione e, nella settimana di open studio, partendo appunto da questa nuova sperimentazione e utilizzando le tecniche ormai da lei consolidate, creerà nuove figurazioni. 
Chiara Messori 

  

giovedì 13 giugno 2019



DENTRO CARAVAGGIO
(Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, Milano 1571 – Porto Ercole 1610)

"Dentro Caravaggio" è un viaggio, condotto da Sandro Lombardi, attraverso i diversi luoghi caravaggeschi: Roma, Napoli, Malta, la Sicilia, tutte quelle terre in cui il pittore e le sue inquietudini hanno lasciato traccia concreta.
Questo film-documentario, diretto da Francesco Fei, ha come  
tappa di partenza il Sacro Monte di Varallo. 
Complesso devozionale concepito nel 1481 dal beato Bernardino Caimi, francescano dei Minori Osservanti. Egli, ritornato dalla Terra Santa dove era stato custode del Santo Sepolcro, decise di riprodurre una Gerusalemme in scala ridotta sulla collina sopra Varallo. L'obiettivo era creare un percorso pedagogico e devozionale in grado di instillare l'amore per le Scritture attraverso il coinvolgimento emotivo. 
I personaggi raffigurati appartengono al contesto quotidiano e ognuno riveste un ruolo unico e speciale.  Gli stessi Cristo e Maria sono ritratti come abitanti del borgo, autentici e alla portata di tutti, celestiali e terreni al tempo stesso. E' proprio in questa dimensione di "immanenza nella trascendenza" che si nascondono, almeno in parte, le radici dell’arte di Caravaggio.
Tutto è come sospeso nel tempo, in una sacralità percepibile nel raccoglimento e nel silenzio.


Cappella della Salita al Calvario – Foto Wikipedia


Nel film, il personaggio- guida, ci introduce alla visione del complesso in modo inusuale. Illuminandone a torcia degli stralci egli ci immerge nel "mondo di Varallo"; coglie l'espressività dei personaggi raffigurati e ce li presenta quasi emergessero dalle tenebre creando così un parallelo con i dipinti del Merisi. 

Immagine correlata


Caravaggio in questa sede viene più volte definito "anticipatore del cinema e della fotografia" proprio per la sua capacità di usare la luce. Le scene da lui ritratte sono come istantanee, stralci di vita quotidiana ripresi da punti di vista inusuali e con tagli prospettici mai visti prima. Rappresentativo in tal senso è il dipinto:"Il Ragazzo morso da un ramarro", immagine della locandina del film. 
E' uno dei più significativi capolavori giovanili di Caravaggio eseguito su tela intorno al 1595, all’inizio del suo periodo romano.


Con splendidi dettagli da natura morta e straordinari effetti luministici si coglie il momento un cui il giovane si ritrae improvvisamente per il morso di un ramarro. Il pittore qui ha vent'anni ed è appena arrivato a Roma. È un Merisi  affamato di baldoria, bordelli e contratti. Qui il pittore mostra lo stupore e paura per la lucertola attaccata al dito da parte di un adolescente effeminato dei bassifondi romani. Il volto, dai tratti grevi, è scolpito dalla luce così come la sua spalla "lussuriosa".

Il giovane critico Roberto Longhi seppe da subito riconoscere la portata rivoluzionaria della pittura del Merisi, così da intenderlo come il primo pittore dell’età moderna.

L’artista, disprezzato nel suo tempo (Poussin arriverà a dire: «questo è venuto ad ammazzare la pittura»), a lungo dimenticato, viene esaltato da Longhi come «il primo pittore dell’epoca moderna». «Ecco un pittore umano piuttosto che umanista; in una parola popolare», scriverà Loghi.

La sua "popolarità" intesa non come fama, bensì piuttosto come capacità di rappresentare il mondo così com'era,; trova la sua massima espressione nelle tele de "Le sette opere di misericordia" (1606/1607).


Sette opere di misericordia Caravaggio analisi

Opera realizzata per l’istituto della Congregazione del Pio Monte, poiché, grazie all’intercessione di quest’ultimi, lo stesso Caravaggio riuscì a scappare da Roma indenne, dato che era ricercato a causa di alcuni problemi che ebbe nella città.
Questo imponente lavoro di Caravaggio  si trova a Pio Monte della Misericordia a Napoli, pronto per essere ammirato dal grande pubblico; inoltre, nello stesso luogo, si può consultare il contratto che venne stipulato per la realizzazione di questo quadro (pagato 470 ducati) riguardanti le opere di misericordia spirituale.
Stando al Vangelo di Matteo, sette sarebbero il numero di richieste fatte da Gesù per ottenere il perdono dei peccati ed accedere al Paradiso.
Le opere misericordia sono:
  1. Dar da mangiare agli affamati.
  2. Dar da bere agli assetati.
  3. Vestire gli ignudi.
  4. Dare rifugio ai pellegrini.
  5. Visitare i malati.
  6. Visitare i carcerati.
  7. Seppellire i defunti.
Nella composizione, seppur la scena possa sembrare confusa, in realtà ci sono diversi gruppi che si possono individuare.
Nella parte più alta della scena notiamo la Vergine con il Bambino in braccio; la coppia è scortata da due angeli, appena visibili, i quali dominano dall’alto il quadro.
La prima opera di misericordia: dar da mangiare agli affamati e visitare i carcerati, è riassunta in una piccola scena sul lato sinistro della tela.
L’uomo che si sta nutrendo dal seno della donna è Cimone, il quale, secondo la storia, venne condannato a morire di fame all’interno del carcere.
Cimone riuscì a salvarsi però, grazie al nutrimento che gli venne fornito dal seno della figlia e, al termine della storia, venne liberato.


La seconda opera di misericordia: dar da bere agli assetati è rappresentata da un uomo dalla pelle scura e poco illuminato, il quale si trova in secondo piano sulla sinistra della scena. Dai pochi dettagli che emergono, l'uomo è identificabile con Sansone, ritratto nel momento in cui sta bevendo acqua da una mascella d’asino: questo particolare è stato estratto dall’aneddoto secondo cui, Sansone, riuscì a sopravvivere nel deserto grazie al Signore, il quale fece sgorgare acqua dal nulla.


La terza opera: vestire gli ignudi e visitare gli infermi, è rappresentata in un'unica scena da un gruppo d'individui, sulla sinistra della tela. Si può notare un cavaliere che sta donando un mantello ad un povero uomo ritratto di spalle (azione che rappresenta “vestire gli ignudi”). Anche nella seconda opera di misericordia, si  fa riferimento sempre alla stessa scena, dove il cavaliere si avvicina all’uomo storpio sulla sinistra.
Dalle fonti apprendiamo che un cavaliere che abbia compiuto tali imprese sia stato identificato con San Martino di Tours.

L'azione : dare rifugio ai pellegrini, si può individuare nel gruppo che si trova sulla parte più a sinistra di tutta la scena in cui campeggiano due persone accanto al cavaliere San Martino di Tours.
Facendo attenzione, alla sinistra di Sansone, si scorge un uomo intento a dialogare con un altro (che indossa un vistoso cappello), mentre indica un punto fuori dalla scena.
Accanto all’uomo con il cappello si intravede il profilo di un inviduo che suggerisce di seguirlo: l’uomo con il copricapo probabilmente rappresenta un pellegrino, per la presenza della conchiglia sul cappello (simbolo del pellegrinaggio a Santiago de Campostela).
Seppellire i morti: l’ultima opera di misericordia si trova sul lato destro della composizione accanto a Pero, la figlia di Cimone, dove si scorgono i piedi di un defunto. Alla sinistra dei piedi si vede un uomo pronto a sollevare il cadavere per trasportarlo, mentre un altro lo accompagna con la fiaccola, unica fonte d' illuminazione per l’intera scena.

Questa è una delle  opere più complesse di tutta la sua carriera. Qui l'artista si pone in una "dimensione limite" fra il mistico e l'erotico. A Napoli l'artista sviluppa ed esprime appieno il suo "genius-loci"; egli riesce infatti a dialogare con l'ambiente napoletano e con i suoi abitanti in modo del tutto spontaneo, vero, vivo. I suoi quadri colgono i momenti della quotidianità, sono flash, istantanee del suo tempo. Se fosse vivo oggi probabilmente il Merisi sarebbe un regista, proprio per la sapienza con cui riesce a coniugare l' uso della luce (usando anticipatamente, per il suo tempo, una luce quasi artificiale) alla rappresentazione di scene in movimento.

Nei suoi quadri c'è questo e molto altro...c'è un'attrazione che, a volte, ha le sue radici nella crudeltà della scene raffigurate come nel "Davide con la testa di Golia" (1609/10) e in "Giuditta e Oloferne" (1597).

David holding the head of Goliath by Caravaggio (Rome).jpg


Anticipatore del cinema, egli riduce la distanza fra i vivi e i morti, fra i nobili e la gente comune, fra il sacro ed il profano portando tutto sullo stesso piano, quello dell'immanenza...
Amato da tutti, indistintamente, ancora attualissimo malgrado morto più di 400 anni fa (nel 1610) resta di una potenza unica. La sua lingua così esistenziale ci ricorda che l’immanenza del mondo è fonte, sì di emancipazione dell’uomo, ma anche di scoperta della sua piccolezza nel cosmo; come se la vita umana fosse solo un'esangue, grigia dimensione corporea dell'arte. 

Questo film documentario mi lascia con lo stesso punto interrogativo di Longhi; un interrogativo irrisolto e, ad oggi, di notevole fascinazione:
"In quali zone soleva extra-vagare il cervello di Caravaggio?"


Chiara Messori